Consiglio Nazionale del Pri/La relazione del segretario al Centro Congressi Cavour Nucara: "Definirsi o sparire" Cari amici, l’ultimo Consiglio Nazionale si è tenuto il 14 marzo di quest’anno. A conclusione dei lavori furono approvati due documenti: uno a maggioranza, riferibile soprattutto alla partecipazione di delegati del PRI al Congresso del PDL, con delega al segretario sull’opportunità della partecipazione, e l’altro riferibile ad un documento congiunto sui valori condivisi del MRE e del PRI, quest’ultimo approvato all’unanimità tranne un astenuto (Saletti). Dissi allora delle difficoltà di ottenere che il nostro simbolo fosse sulle schede elettorali, per la consultazione relativa alle elezioni per il Parlamento Europeo. Tentammo tutte le vie per poter fare una battaglia anche di testimonianza. Ci furono sbarrate tutte le porte, financo dai Radicali e dal modesto raggruppamento liberal-democratico (ex Dini). Entrambe le formazioni politiche non avevano l’obbligo della raccolta delle firme e, vista la posizione di forza, acconsentivano solo ad una semplice adesione senza alcuna visibilità. Il nostro giudizio, avvalorato ex-post dai risultati, si estrinsecava nel rifiuto di essere dei donatori senza alcun significato, né politico né pratico. Non ci sarebbe stata la visibilità del nostro simbolo, e nemmeno la sola dicitura "Repubblicani". Non avevamo alcuna possibilità. La raccolta delle firme era una cosa impossibile. Abbiamo scelto il silenzio, lasciando ai singoli repubblicani libertà di voto. Nello stesso Consiglio Nazionale fu approvato all’unanimità un documento sul credito proposto dall’amico prof. Riccardo Gallo.Potremmo agevolmente dire: troppa acqua è passata sotto i ponti, ragioniamo sul domani. No! Non è così. I problemi di allora, nascosti sotto un manto di ipocrisia e di bugie, ritornano in superficie ora per allora o meglio - anche se con improprio linguaggio - allora per ora. Ed è di questo che dobbiamo parlare oggi. Mutuando da Giovanni Bovio, "chiarirsi o sparire". Stiamo per affrontare le consultazioni elettorali per il rinnovo dei Consigli regionali in 13 Regioni italiane. Se non riusciamo a spiegare alle "riserve indiane" degli elettori repubblicani cosa vogliamo e con quali progetti riteniamo di procedere, non avremo alcuno ascolto. Se questi quattro gatti si dividono per diventare due, allora non saranno più due gatti, ma saranno qualcosa di meno. Abbiamo fatto di tutto in questi anni di segreteria per non fare apparire le divisioni laceranti che nel PRI hanno frenato iniziative e progetti sia strategici che tattici. Tuttavia, chi ha in mente il litigio come strategia non si ferma mai di fronte alle realtà, anche evidenti, quando invece ci sarebbe bisogno di uno stop, quand’anche si dovesse avere ragione e soprattutto se nemmeno la si ha. I più recenti avvenimenti non fanno altro che sottolineare questo conflitto che dura con evidenza da almeno tre anni. La storia del lupo e l’agnello è illuminante più di qualsiasi ragionamento. Il PRI in Parlamento è rappresentato solo da due deputati eletti nelle liste del PDL nella primavera del 2008. I due deputati sono stati entrambi testa di lista e quindi hanno avuto una grande considerazione da parte del PDL. Il senatore Del Pennino è stato penalizzato forse perché il PDL ha pensato di aver concesso già troppo al poco consistente Partito Repubblicano. Le elezioni del 2008 seguivano a due anni di governo Prodi e a cinque anni di governo Berlusconi. In quest’ultimo il PRI, specie nell’ultimo anno (2005), era ben rappresentato da un Ministro e un vice-Ministro. Nel 2005-2006 le cose andavano bene, anzi benissimo. Le osservazioni sull’andamento economico erano assenti e il piano di Lisbona preparato dal ministro repubblicano era il fiore all’occhiello di quel governo. Erano tanto positive le considerazioni su quel governo che quando il vice-Ministro repubblicano diede le dimissioni dall’incarico di governo, consegnandole al Presidente del Consiglio, fu chiamato ad un atto di responsabilità poiché quell’atto avrebbe oggettivamente fatto da traino alle dimissioni del Ministro. Il che non era auspicabile visto l’impegno profuso per portare a termine il piano di Lisbona. Su questo, se necessario, ritorneremo al momento opportuno. Ora, se a giugno del 2006 andava tutto bene e dal 2006 al 2008 ha governato Prodi, mi risulta quanto meno improbabile che Tremonti, malgrado la crisi finanziaria che ha colpito l’economia mondiale, possa aver fatto tanti disastri da dover indurre il PRI a ritirare la propria fiducia a questo governo. Non ho mai creduto al patto di legislatura come a un Moloch intoccabile, a me piace piuttosto che il patto si possa toccare, ma solo in presenza di ragioni più che valide. Allo stato i repubblicani credo non le abbiano. Potrebbero averle se, invece di farsi prendere dall’emotività o dai guai del sistema bancario, pensassero a un loro progetto. Essi avevano iniziato un percorso. Un percorso accidentato, ma pur sempre nel solco della tradizione repubblicana: il progetto liberal-democratico, da agganciare alle società europee che, pure partite in ritardo, hanno bruciato le tappe nella realizzazione di quello che per loro era un sogno: la liberal-democrazia. Un gruppo di amici, e tra essi chi vi parla, pensò per tempo a questo disegno strategico. E tuttavia al Convegno di Milano dell’ottobre 2007 ci ritrovammo con parte della rappresentanza parlamentare ostile a quel disegno, che pure era la continuazione della mozione congressuale approvata all’unanimità. E’ mia intenzione riprendere quel disegno e riproporlo regione per regione – dove si può – con argomenti specifici. L’occasione della campagna elettorale regionale ci consentirà una visibilità quantomeno locale, che altrimenti non avremmo. Il progetto liberal-democratico ci consentirebbe di dischiudere un’azione complessiva nella politica italiana, non più rinchiusa solo sull’economia o sulle riforme istituzionali o sul Mezzogiorno, bensì basata su un ragionamento in cui ogni problema diventa un tassello di un mosaico armonico di sviluppo economico, sociale e civile. L’economia italiana, se inquadrata in un sistema europeo o addirittura globale, è meno disastrata di quel che vorrebbe far apparire qualcuno. I dati forniti da Confindustria – che certamente non è e non è mai stata tenera con il governo - fanno ben sperare. Altri segnali (andamento della produzione industriale, aspettative più positive degli imprenditori sulla tenuta dell’occupazione e così via) confermano che la crisi, quanto meno si è arrestata. Basta questo per dire che siamo fuori dal tunnel? Credo di no. A livello di governo – si pensi alla proposta di riduzione dell’IRAP – è iniziata una discussione alla quale i repubblicani devono partecipare. La nostra linea è quella di sempre: rigore finanziario, ma anche sviluppo per aggredire le radici non solo congiunturali ma strutturali della crisi italiana ed internazionale. Per quanto concerne le riforme costituzionali è bene che ci chiariamo le idee. La Costituzione vigente non è quella voluta dai costituenti repubblicani: dall’art. 1 all’art. 7 al federalismo, al sistema parlamentare, al sistema giudiziario. Definire intangibile la Costituzione significherebbe certificare una discontinuità con la tradizione repubblicana. Io stesso ho presentato due disegni di legge di riforma costituzionale: uno per l’abolizione delle province e l’altro di riforma della giustizia. Ambedue rappresentano il prosieguo delle iniziative prese al Senato in precedenti legislature dal Senatore Del Pennino. Il Mezzogiorno: su quest’argomento possiamo inserirci di tutto e di più, dalla tradizione (La Malfa, Compagna, Cifarelli) ai fatti concreti di oggi. Anche in questo caso ci troviamo in linea con il documento finale del Convegno di Milano coordinato dall’amico Gallo. A noi basta citare Sylos Labini, che asserisce: "La ricerca, pura e applicata, merita la massima attenzione: a lungo andare la nostra economia potrà affrontare adeguatamente la concorrenza, nel commercio internazionale, dei manufatti prodotti dai paesi emergenti - nei quali i salari sono una modesta frazione dei nostri - solo se saprà mantenersi alla frontiera tecnologica di determinate industrie, come la meccanica. La produzione incessante di nuove tecnologie e di nuovi beni possono via via migliorare la qualità del lavoro e far crescere il numero delle occupazioni gratificanti. Se si vuole che lo sviluppo economico si trasformi sempre più spesso e sempre più diffusamente in sviluppo civile, occorre puntare sulla ricerca. Sforzi di ogni genere sono richiesti e i risultati non possono essere ottenuti in tempi brevi. Ma questa è la via da seguire per il futuro del Mezzogiorno e dell’Italia". Noi abbiamo bisogno di infrastrutture, ma non smettiamo di affermare la nostra contrarietà alla realizzazione del Ponte sullo Stretto così come concepita. Manca un disegno strategico, per cui si rischia di realizzare un’opera priva di qualsivoglia sostegno infrastrutturale minore. E non mi stancherò mai di sottolineare come il Ponte nella parte messinese si ritroverà ad approdare in faccia a 3.336 famiglie che vivono tutt’oggi nelle baracche costruite dopo il terremoto del 1908. Parliamo di oltre un secolo di storia avvilente e scandalosa. La Banca del Sud è sicuramente un fatto positivo, se consideriamo che il credito nel Sud costa quasi tre punti in più che al Nord. E noi siamo con Tremonti contro un sistema bancario ingessato che pensa solo ad aumentare i propri profitti scegliendosi senza regola alcuna i clienti cui concedere crediti. Noi repubblicani, e in primis l’amministratore, viviamo sulle nostre spalle questa situazione: ci si dice, a proposito della sede, è un’operazione banale e senza problemi, ma siete un partito. E noi dovremmo sostenere questo sistema bancario al limite di un comportamento morale da usuraio? No, cari amici. Lo dico chiaro e tondo: non abbiamo la forza politica per sostenere alcuno ma se ci fosse un briciolo di cui disporre, sosterremo chi ci ha aiutato nel 2005. Ritorniamo a ciò che in precedenza avevo indicato come disegno strategico per gli anni a venire. Al Convegno dell’ottobre 2007, così concludevo i lavori: "Difficile pensare che la questione si risolva da subito con un convegno ed un dibattito che hanno avuto il principale merito di dare avvio ad un percorso". Facciamo autocritica, ma facciamola tutti, visto che nessun segretario regionale ha mai proposto un dibattito nella sua regione su uno dei temi del Manifesto finale coordinato dall’amico Riccardo Gallo. Riprendere quel progetto e portarlo avanti con determinazione significa parlare quasi esclusivamente di contenuti e sui contenuti ci potrà essere una propensione positiva da parte dei repubblicani che hanno deciso - a mio avviso sbagliando – di abbandonare il PRI negli anni passati. Ma c’è di più. Se noi riuscissimo a far decollare questo disegno strategico, potremmo anche aggregare i senza-patria di partiti che volessero democraticamente cambiare un sistema ormai ingessato fin dal Risorgimento. Basta pensare ad alcune leggi del 1865 e tuttora vigenti nel nostro ordinamento. E ci dispiace che il ministro Tremonti parli oggi di posto fisso, quando la flessibilità del lavoro può incentivare a nuove conoscenze e a molti mestieri. Il posto fisso lo otterrà chi merita, poiché nessuna azienda ha interesse a privarsi di un’unità formata da anni di conoscenza e di professionalità, a meno che non vi sia costretta da una crisi. Il posto fisso non esiste. Le dichiarazioni di Tremonti possono servire, se servono, solo ad acquisire benemerenze con i sindacati in generale e con la Cgil in particolare! Sindacati sempre più miopi sulle condizioni del Paese. E allora ripartiamo dalle cose su cui siamo d’accordo e ognuno faccia un passo indietro, o due, o trentadue, perché, come amano dire - ma solo dire – alcuni repubblicani, "gli interessi generali vengono sempre prima di quelli personali". I problemi di un partito sono molteplici: i pensatori che tracciano linee politiche servono, e come se servono, ma se rimangono solo loro non servono a nulla, quando non siano deleteri. In questo partito ci sono problemi organizzativi, problemi finanziari, problemi di lealtà e potrei continuare per un’altra mezz’ora. Ignorarli significa essere incoscienti, incompetenti, menefreghisti o peggio inaffidabili. Al PRI nelle sue varie articolazioni, a cominciare dal Consiglio Nazionale, il compito di smascherare ed emarginare quanti, al di là dei buoni propositi che spesso sono falsi, non tengono al PRI e considerano i repubblicani "merce avariata". E se con questa "merce avariata" siamo riusciti a ritornare in campo, togliamo il marciume e procediamo spediti verso la liberal-democrazia dove conta solo il lavoro intellettuale e materiale e null’altro. Infine, cari amici, chi aspira a realizzare il progetto liberal-democratico incominci fin da ora a fare proposte per calare questo disegno sul territorio. A voi, a tutti voi, ma soprattutto a chi ha dovere di rappresentanza nazionale il compito di dire se "l’avventura" repubblicana è giunta al capolinea, oppure no: cito di nuovo Bovio, ma stavolta in modo letterale: "Definirsi o sparire". Roma, 24 ottobre 2009 |